A disciplinare la produzione di guerra interviene lo Stato, con l’istituzione dell’Istituto della Mobilitazione Industriale che ha il compito di determinare gli stabilimenti ausiliari, coordinarne le attività, distribuire le commesse e stipulare i contratti.
Dipinta dalla propaganda interventista come un evento di breve durata destinato a coinvolgere soltanto i lontani campi di battaglia, la guerra irrompe sulla quotidianità di un’intera nazione che vede i soldati falcidiati nei combattimenti e le sue donne irrompere non solo nella sfera pubblica e civile, ma anche in quella economica e sociale del paese.
La guerra non aspetta, e i servizi svolti prima dagli uomini, ora lontani a impugnare i fucili nelle trincee, devono continuare. Tocca alle donne guidare autobus e tram, consegnare la posta e spazzare le strade, lavorare negli uffici, nei magazzini e nei reparti delle fabbriche, dove le lavoratrici diventano 23.000 alla fine del 1915, 89.000 alla fine del 1916, 175.000 alla fine del 1917 e circa 200.000 nel 1918. Cifre consistenti, alle quali vanno aggiunte le impiegate dell’amministrazione pubblica e le oltre 600.000 impegnate nelle lavorazioni per le forze armate, che nel territorio cuneese raggiungono uno dei massimi livelli di sviluppo.
Oltre alle armi, i soldati necessitano di vestiti, guanti e cappotti. Scendono in campo migliaia di sarte: tra il luglio 1916 e il giugno del 1917, nella sola città di Cuneo, sono confezionati 36.689 abiti, da 2.235 lavoratrici, le cui mani cuciono e tagliano in laboratori di fortuna, atélier improvvisati e nelle stanze delle case. Ai soldati non occorrono solo divise, ma anche scarpe: se ne occupano le concerie di Bra, diventate i principali fornitori dell’Arsenale Militare di Torino e del 34° Reggimento di Artiglieri di Rodi.
Anche le industrie meccaniche iniziano a lavorare per la guerra. Dichiarate ausiliarie, la SNOS di Savigliano e le Officine Manfredi e Bongioanni producono a pieno ritmo: a Savigliano le attrezzature belliche e gli aeroplani prendono il posto di vagoni e carri ferrati, mentre ogni giorno dai cancelli di Fossano e da quelli di Mondovì escono, rispettivamente, 800 e 1.800 bombe a mano.
Nutrita tra i reparti della SNOS è la presenza femminile. Donne che al termine del conflitto, quando le aziende devono confrontarsi con i problemi del reinserimento dei reduci e della riconversione industriale, escono a migliaia dalla fabbrica, lasciando nuovamente spazio all’operaio specializzato, ritornato a coprire un ruolo di primo piano nelle officine in tempo di pace.
Se per alcuni settori produttivi della provincia la guerra coincide con un aumento dei profitti, per altri segna un periodo di grande difficoltà: è il caso delle industrie agroalimentari ed enologiche, colpite da un calo delle esportazioni e dei consumi e dal comparto agricolo, trovatosi a fare i conti con lo spopolamento delle campagne, che vedono tra il 60 e il 70 % degli uomini partire per il fronte, a dimostrazione di come siano stati principalmente i figli della terra a combattere e a morire sul fronte della prima guerra mondiale.
Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria e fa il proprio ingresso nel primo conflitto mondiale. È chiamato al fronte un paese che deve oliare la propria macchina bellica, non attrezzata a scendere sui campi di battaglia: occorre dare all’esercito equipaggiamento ed armi. L’aumento delle commesse belliche rafforza le imprese operanti nel settore chimico, elettrico, estrattivo e metallurgico-meccanico.